MUSEO NAZIONALE DELLA CAMPAGNA GARIBALDINA DELL'AGRO ROMANO PER LA LIBERAZIONE DI ROMA |
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La battaglia di Monterotondo e Mentana
La campagna dell’Agro Romano finita in modo sì doloroso per la sconfitta dei Garibaldini, trova a giustificazione del suo negativo andamento il fatto che essa era questione di importanza internazionale che poteva essere risolta o sul piano diplomatico o da qualche avvenimento europeo che levasse dagli impicci il nostro governo nazionale legato mani e piedi dall’invadenza francese che era riuscita con la convenzione di settembre del 1864 a far sperare che l’11 settembre i Francesi se ne sarebbero andati da Roma, ma, perché ciò avvenisse, la Francia impegnava il nostro governo non solo a non attaccare il territorio pontificio, ma ad impedire anche che altri lo tentassero. La Francia, subito dopo aver firmato questo trattato, aveva provveduto a costituire un grosso corpo volontario di cattolici francesi denominati La Legione di Antibo, ma di fatto, costituita da clericali legittimisti e soldati francesi dell’esercito regolare fatti passare come volontari. Se la Francia aveva costruito una grossa pentola dove mettere le aspirazioni italiane a Roma capitale, gli Italiani pensarono subito di chiudere la sua imboccatura con un grosso coperchio rappresentato dal fatto che nella convenzione non fu detta parola relativamente alla possibilità che fossero i sudditi papalini a ribellarsi al proprio governo consegnando con plebiscito la città di Roma all’Italia, perché ne facesse la propria sospirata capitale. I Comitati patriottici di Roma A Roma esistevano due comitati clandestini: uno era il Comitato Nazionale dei Moderati di stampo liberale, l’altro il Centro di Insurrezione, quest’ultimo aveva un carattere in prevalenza repubblicano per cui è chiaro che non godesse delle migliori simpatie delle istituzioni governative italiane. Il Centro di Insurrezione spingeva il Generale Garibaldi ricordando al medesimo di essere stato nominato Generale della Repubblica Romana e di aver ricevuto i pieni poteri dalla medesima al momento di lasciare Roma nel 1849. Il Triunvirato, dopo la protesta per l’invasione francese, è bene non dimenticarlo, aveva promulgato la sua costituzione ed abbandonato la città senza proclamare la resa. In definitiva gli insurrezionalisti lo volevano a capo di un Comitato di fuoriusciti romani. Il Garibaldi, allora ospite di Giorgio Pallavicino, il 22 marzo accettò e il 1 aprile il Centro Insurrezionale cominciava in tutta Italia la ricerca del denaro occorrente per l’impresa. Il governo francese, arrivato a conoscenza del fatto, inviò al Rattazzi una formale protesta. Il Rattazzi, che pur proveniva dalle fila democratiche, fiutando il pericolo di trovarsi in casa l’esercito francese, dovette piegare la testa e dichiarare che il trattato sarebbe stato rispettato. A Terni, comunque, 106 giovani si radunarono nell’ex convento di San Martino tentando di entrare nei territori della Santa Sede, ma sul confine trovano un reparto dei nostri granatieri che li costrinsero a sciogliersi. Garibaldi giunse a Siena e proclamò l’insurrezione per l’autunno a venire inviando il Cucchi a Roma, il figlio Menotti nel Mezzogiorno e Giovanni Acerbi a Torre Alfina, vicina ad Orvieto, tutti a cercar volontari. Il Rattazzi, pressato dai Francesi, invitò, dopo il suo ritorno da un viaggio politico in Svizzera, Garibaldi a ritirarsi a Caprera. Nel frattempo da 220 comuni d'Italia grandi e piccoli affluivano i Volontari in risposta all'appello di Garibaldi. La Campagna dell'Agro Romano per la liberazione di Roma, come fu chiamata quella del 1867 (ultima con la presenza di volontari in Italia). Durò circa 45 giorni concludendosi sfortunatamente il 3 novembre a Mentana. Garibaldi, elusa la sorveglianza di Caprera, raggiunse il figlio Menotti a fine ottobre puntando sulla conquista di Monterotondo, presidio pontificio. Il 28 ottobre, al termine di cruenti scontri tra garibaldini e pontifici, la città fu occupata dai volontari. Da Monterotondo Garibaldi con il suo stato maggiore si accostò più volte alla periferia romana sperando in un'insurrezione. In quei giorni ci fu il sacrificio dei Fratelli Cairoli a Villa Glori e, in città quello della Tavani Arquati. L'anno successivo il governo pontificio fece decapitare i patrioti Monti e Tognetti, malgrado un appello alla clemenza del Re Vittorio Emanuele II. Garibaldi, valutata l'impossibilità di andare a Roma, decise da Monterotondo di puntare su Tivoli per sciogliere la legione. Ritardi nella partenza, ordini mal capiti, richieste di intervento di reparti garibaldini disattesi portarono allo scontro del 3 novembre 1867 tra i pontifici e quanti restavano dei garibaldini a seguito di numerose diserzioni. Furono i pontifici a sconfiggere Garibaldi e i suoi volontari. A cose fatte arrivarono i Francesi che stentarono ad intervenire come testimonia, citando i documenti, il saggista Lorenzo Innocenti nel volume sul risorgimento italiano visto attraverso la storia del reggimento Zuavi Pontifici 1860-1870. il fucile chassepot tanto decantato per aver fatto meraviglie, in pratica fu usato quasi come in un'esercitazione. L'arma, fabbricata in parte dalla Glisenti in Italia, ebbe scarsa fortuna e fu presto accantonata. Terminata la sfortunata battaglia Garibaldi con i suoi si ritirò a Passo Corese verso il suo destino. la Campagna dell'Agro Romano per la liberazione di Roma fu riconosciuta dallo stato sabaudo nel 1898 al termine di complessi dibattiti parlamentari. Tutti i riconoscimenti a quanti vi parteciparono, compresa la medaglia dei liberatori di Roma datano dal 1900. |